«E’ per la nostra gioia che questa notte è illuminata come il giorno, mentre ci viene dato l’annuncio più grande che la storia abbia mai conosciuto: Cristo è risorto dai morti! Noi siamo quindi salvati, giustificati, redenti». Così ha esordito il cardinale Gualtiero Bassetti nell’omelia-messaggio augurale alla comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve della Veglia pasquale nella Notte Santa (sabato 16 aprile), nella cattedrale di San Lorenzo. Celebrazione caratterizzata dai riti della benedizione del fuoco, dell’accensione del cero pasquale e della benedizione dell’acqua battesimale. Durante la liturgia hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana tre catecumene di nazionalità albanese, iraniana e italiana, della parrocchia perugina di San Donato all’Elce.

Sentire la pienezza della nostra vocazione. «La notte, nella Bibbia, ha un significato negativo – ha evidenziato il presule nell’omelia –. È la tenebra, che è l’opposto di Dio. Ma è proprio da questa “notte” che sorge la “stella del mattino, quella che non vede tramonto”. Ecco perché non possiamo, in questa celebrazione pasquale, non sentire la pienezza della nostra vocazione e la stupenda meraviglia di quello che sarà il nostro destino. Noi sappiamo che Cristo è risorto. Questo è l’annuncio dell’Angelo del Sepolcro. E se Cristo è risorto non è vana la nostra predicazione»

La notte può essere trasformata in giorno. «Voi mi direte – ha proseguito il cardinale –, ma rimane nel mondo tanta tenebra, rimangono le ingiustizie, il fragore delle armi nella tormentata Ucraina e in tante parti del mondo. Gli uomini che vogliono rimanere nelle tenebre non attendono, purtroppo, “la luminosa stella del mattino”. Ma in chi questa “stella” l’aspetta, c’è tanto di potenza dello Spirito Santo, che la dilatazione del suo amore può servire alla salvezza di tutti. E allora la notte può essere trasformata in giorno».

Non temete gli ostacoli. Bassetti ha avuto parole rassicuranti nel dire: «Ci sono mille cose ogni giorno che possono farci temere, mille pensieri, mille pietre, come quella del Sepolcro, mille ragionamenti: tutti ostacoli pesanti sul cammino della nostra vita, pesanti e sordi come la pietra del Sepolcro e l’Angelo dice: “perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui, è risorto, non temete!”. La Pasqua libera il cristiano da ogni paura e gli dà la forza di annunciare al mondo intero, come ci ripete l’apostolo Paolo: “Voi siete risorti con Cristo!”».

Cristiano, riconosci la tua dignità. «Se avremo fede, lo ripeto, questa notte si trasformerà in luce e tutti potremo accorgerci che c’è stata data “novità di vita” e che siamo “luce del mondo e sale della terra”. Così poveri, ma così illuminati, così “nulla” e così riempiti di destino e di grandezza, nella vocazione cristiana. Per questo, fratelli e sorelle, mai come stanotte si può ripetere la parola del grande dottore della Chiesa, san Leone Magno: “Cristiano, riconosci la tua dignità”».

Andare ad annunciare. Bassetti ha ricordato che «a noi è nuovamente comandato di andare ad annunciare – come avvenne per le donne del Vangelo -, che Cristo è risorto. Ed è impossibile non sentire la bellezza, la gioia di questa chiamata. Lo dico soprattutto per le nostre sorelle che stanno per ricevere il Battesimo. Si sono preparate, hanno fatto un lungo cammino e lo dico anche per tutti coloro che hanno portato a termine il cammino neocatecumenale (e grazie a Dio sono tanti) e che solennemente rinnoveranno le promesse battesimali dinanzi al vescovo. Occorre comprendere che tutti, gratuitamente, abbiamo ricevuto un destino di luce, che ci spinge ad annunciare che Cristo è risorto, testimoniandolo con la vita e con le opere».

Siamo nel mondo la credibilità di Gesù. Bassetti ha poi esortato tutti i cristiani a «diventare la pasqua visibile del mondo», altrimenti, ha detto, «nel mondo non ci sarà più Pasqua. Quando i non credenti diranno: dov’è la Pasqua? Cos’è la vostra Pasqua? Quando coloro, e purtroppo sono tanti, che si sono staccati dalla Chiesa diranno: dov’è il vostro Cristo? Forse nella favola delle vostre labbra? Guai a noi se non daremo l’unica risposta che deve essere data: “Noi siamo di Cristo, o meglio, siamo “Cristo”, il suo corpo, Lui e la Chiesa… Siamo chiamati ad essere, nel mondo, la credibilità di Gesù, la testimonianza viva che Lui è veramente risorto ed ha salvato il mondo. Non basta più essere veritieri, occorre essere veraci. È grande oggi la responsabilità del cristiano, ma ancora più grande deve essere la sua gioia».

La Pasqua, costante cammino di testimonianza. «Carissimi figli di questa grande Chiesa perusino-pievese, facciamo Pasqua in questo modo. Una Pasqua che non termina con la colomba e con gli auguri di domani, che domani l’altro non ci sono più. La Pasqua sia un costante cammino di testimonianza cristiana. Dice il Vangelo di oggi, che Maria andò correndo a portare l’annuncio. Purtroppo era motivata dall’angoscia: “hanno portato via il Signore!”. Che la nostra corsa – ha auspicato il cardinale Bassetti – sia, invece, motivata dalla gioia».

La notte scorsa, dopo una grave malattia, è tornato alla Casa del Padre don Mario Stefanoni, parroco emerito della Parrocchia perugina dei Ss. Andrea e Lucia in Cattedrale. Profondo è il cordoglio del cardinale Gualtiero Bassetti e del Clero diocesano espresso alla famiglia e alla comunità parrocchiale del centro storico di Perugia che per lunghi anni ha avuto come suo parroco don Mario Stefanoni. «Siamo grati al Signore – evidenzia il cardinale Bassetti – per aver avuto don Mario pastore, fratello e amico, impegnato ad annunciare il Vangelo di Gesù».

Le esequie avranno luogo Lunedì dell’Angelo 18 aprile, alle ore 9.30, nella cattedrale di San Lorenzo, presiedute dal cardinale insieme all’attuale parroco di Sant’Andrea e Lucia, don Calogero Di Leo, e al Clero cittadino. La camera ardente sarà allestita, il giorno di Pasqua, domenica 17 aprile, alle ore 17.30, nella chiesa della Misericordia di piazza Piccinino dove per mezzo secolo don Mario ha celebrato l’Eucaristia come parroco.

Don Stefanoni era nato a Civitavecchia il 7 novembre 1941 ed ordinato sacerdote a Perugia il 26 giugno 1965. Prima di diventare parroco della Parrocchia dei Ss. Andrea e Lucia in Cattedrale, la “grande parrocchia” del centro storico della città, incarico ricoperto fino al 2020, è stato vice parroco, all’inizio del suo ministero sacerdotale (seconda metà anni ’60), della parrocchia perugina, all’epoca di periferia, dei Ss. Biagio e Savino.

«Don Mario è stato una colonna della nostra Chiesa con spirito di intraprendenza e indipendenza». Così lo ricorda il suo confratello mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale dell’Archidiocesi. «La fede, l’intelligenza e l’arguzia contraddistinguevano il carattere don Mario – commenta mons. Scarabattoli –. Agli incontri con i sacerdoti partecipava di rado per problemi di salute, ma quando era con noi la sua cordialità e la sua simpatia erano assolute. Le sue celebrazioni erano sempre molto intense, gradite e ascoltate. Quando, alle 8 del mattino, celebrava messa in cattedrale, tanti fedeli, soprattutto anziani e malati, prendevano parte da casa ascoltandola in diretta sulle frequenze di Umbria Radio. Lui sapeva di entrare ogni giorno nelle famiglie dei perugini e aveva per tutti parole di conforto e incoraggiamento. Lo ricordiamo – prosegue nel suo ricordo mons. Scarabattoli – seduto in cattedrale con in mano la lampadina tascabile per leggere il breviario, oltre a vederlo nel confessionale in ascolto di tanti tormenti e pentimenti. Erano molti i fedeli che lo avevano scelto come confessore ed oggi tanti lo piangono. Aveva sempre in tasca una caramella per offrirla anche agli adulti, un segno della sua dolcezza insieme alla sua fermezza. Uno dei suoi impegni pastorali che aveva più a cuore era il catechismo per i ragazzi e l’oratorio che aveva riaperto in pieno centro, nell’antica chiesa di Santa Lucia in via Baglioni, divenuto punto di aggregazione per tanti giovanissimi».

Una dei suoi “giovanissimi” dell’epoca, come giovanissimo nell’animo è rimasto sempre don Mario, lo ricorda con queste parole. «Don Mario era per tanti ragazzi della mia età semplicemente “Don”! Con lui – racconta con voce commossa Anna Maria Angelelli – era sempre una gioia…, preparazione alla Comunione, escursioni…, ma al momento giusto sapeva calmare con dolce fermezza anche gli animi più vivaci tra noi. Sempre con la battuta pronta, con una barzelletta nuova nuova. Ciao, “Don”… Io so, sei dietro l’angolo, al cospetto del Dio vivente».

Il cardinale Gualtiero Bassetti ha presieduto la celebrazione della Coena Domini del Giovedì Santo nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, nel pomeriggio del 14 aprile, compiendo il rito della lavanda dei piedi ad alcuni operatori sanitari impegnati nella pandemia, richiamando, all’omelia, l’importanza dei segni eucaristici del pane e del vino, «il segno sceso dal cielo», e del segno del servizio «di tenerezza, di amore e di perdono» nel piegarsi verso il prossimo. «Il mondo educa a stare in piedi, ed esorta tutti a restarci pur di contare», ma, ha evidenziato il cardinale Bassetti, «il Vangelo del Giovedì Santo è il contrario di questa mentalità». E, ricordando il «comandamento nuovo» di Gesù “amatevi, come io vi ho amati”, il presule ha esortato ad «amarci», perché «è lavare i piedi, servirci l’uno dell’altro, come ha fatto Gesù, a partire dai più deboli, dai più poveri, dai più indifesi». Il cardinale ha poi parlato della guerra in Ucraina, definendola «un incendio senza fine» e ha avuto parole di ammirazione e riconoscenza verso i sanitari che «non si sono tirati indietro dinanzi al pericolo del virus». La Ceona Domini si è conclusa con l’adorazione eucaristica all’altare della reposizione animata dai seminaristi.

 

Omelia del cardinale Bassetti.

Il nutrimento sceso dal cielo. Carissimi fratelli e sorelle, “ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”. Sono le parole di Gesù prima dell’ultima cena: Lui vuole stare con noi! Si fa cibo, per divenire carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento sceso dal cielo: ci aiutano a vivere come Lui viveva. Fanno sorgere in noi sentimenti di bontà, di servizio, di tenerezza, di amore e di perdono. Gli stessi sentimenti che lo portano a lavare i piedi dei discepoli, come un servo.

L’ultima grande lezione. A cena inoltrata, Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugamano, poi con dell’acqua si inginocchia davanti ai discepoli e lava loro i piedi. Anche con Giuda, che sta per tradirlo; Gesù lo sa bene, ma si inginocchia ugualmente davanti a lui e gli lava i piedi. Pietro appena vede giungere Gesù davanti a Lui reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?” Pietro non capisce che la dignità di Gesù non è quella di stare in piedi, ma di inginocchiarsi fino ai suoi piedi. E quello della lavanda dei piedi è l’ultima grande lezione di Gesù da vivo: “se dunque io signore e maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete fare altrettanto. Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come ho fatto a voi”.

Servirsi l’uno dell’altro. Il mondo educa a stare in piedi, ed esorta tutti a restarci pur di contare. Il Vangelo del Giovedì Santo è il contrario di questa mentalità. Vi do un comandamento nuovo: “amatevi, come io vi ho amati”. E amarci è lavare i piedi, servirci l’uno dell’altro, come ha fatto Gesù, a partire dai più deboli, dai più poveri, dai più indifesi.

Piegarsi verso il prossimo. Il Giovedì Santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di restare fermi nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarci verso i fratelli e le sorelle. È una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Il Giovedì Santo è davvero un giorno unico: il giorno dell’amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti siamo suoi amici, anche chi lo sta per tradire. Per Gesù lavare i piedi non è un gesto, ma un modo di vita.

Lasciarsi coinvolgere da Cristo. Terminata la cena Gesù si avvia verso l’orto degli ulivi. Qui si inginocchia ancora, anzi si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l’angoscia. Lasciamoci coinvolgere, cari fratelli, da quest’uomo, che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermeremo stasera davanti al sepolcro, diciamogli la nostra amicizia. Oggi più che mai è il Signore ad aver bisogno di compagnia. Ascoltiamo la sua implorazione: “la mia anima è triste fino alla morte, restate qui e vegliate con me”. Signore, in quest’ora non ti daremo il bacio di Giuda, ma vogliamo chinarci ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continueremo a baciarli con affetto.

L’Ucraina, un incendio senza fine. Cari fratelli, in questi giorni in cui la guerra in Ucraina sembra un incendio senza fine, riascoltiamo le parole di Papa Francesco: “la guerra è un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua. Le armi del Vangelo sono la preghiera, la tenerezza, l’amore gratuito al prossimo”. Facciamo tesoro di quanto il Santo Padre ci suggerisce.

Chinarsi sui fratelli affetti dal virus. Come avvenne nell’ultima cena, si ripeterà ora il gesto della lavanda dei piedi. Posate le vesti, il Signore si chinò sui suoi discepoli, non solo per compiere le abluzioni previste dalla antica legge, ma soprattutto per insegnare ai suoi seguaci lo spirito di servizio che deve animare ogni credente. Questa sera sono stati scelti alcuni uomini proveniente dal mondo della sanità, quale segno di ammirazione e riconoscenza verso tutti coloro che in questi ultimi due anni hanno lavorato senza sosta, fino allo stremo delle forze, in situazioni di grande pericolo personale. Essi non si sono tirati indietro dinanzi al pericolo del virus, ma hanno soccorso e curato i pazienti (io ne sono testimone) con professionalità e completa dedizione.

Profondamente grato ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario del nostro ospedale, desidero stasera chinarmi su di loro, e con la lavanda dei piedi ringraziarli perché loro si sono chinati sui fratelli per prestare ogni cura. Il Signore, che conosce i segreti dei cuori, ricompensi ciascuno per il bene fatto, e ciò resti di esempio per le generazioni future.

Gualtiero Card. Bassetti

La Chiesa perugino-pievese si è ritrovata nella Cattedrale di San Lorenzo per la celebrazione della Messa Crismale, una delle occasioni che riuniscono tutti i sacerdoti del clero diocesano intorno ai loro pastori. Dopo i due anni della pandemia, con il tono dimesso della benedizione degli oli per i sacramenti – ha spiegato il cardinale Gualtiero Bassetti -, la liturgia del Mercoledì santo torna solenne e partecipata, dai consacrati e dai fedeli.
“È una gioia, lasciatemelo dire – ha commentato Bassetti nell’omelia -, poterci ritrovare oggi, fedeli e sacerdoti, così numerosi nella nostra chiesa cattedrale, per quella che viene definita nel Rituale per la benedizione degli Oli, una «epifania della Chiesa». E non posso non dire, carissimi, permettetemi questa nota personale, che questa è l’ultima Messa Crismale che presiedo come Vescovo della diocesi di Perugia-Città della Pieve”.
L’arcivescovo fa poi riferimento alla pagina del profeta Isaia letta dall’ambone. “Sembra davvero – ha affermato Bassetti – che il profeta stia parlando non della situazione del popolo di Israele in esilio, ma delle sofferenze che in queste ore stanno vivendo coloro che sono vittime dell’invasione dell’Ucraina, e hanno perso la propria terra, la casa, i propri familiari, la stessa vita. A questi poveri però il Signore annuncia un cambiamento. Sappiamo bene (e la festa della Pasqua significa anzitutto questo), che la morte non è l’ultima parola per Dio e il suo Messia”.
Nell’omelia, il cardinale si è rivolto anche ai preti diocesani ricordando l’unzione della consacrazione e il rinnovo delle promesse sacerdotali. E ha ringraziato ciascuno per il ministero svolto tra la gente, a nome del Signore e di tutto il popolo cristiano.
“Carissimi sacerdoti – ha detto il cardinale Bassetti -, tra poco riceverete gli Oli che verranno custoditi nelle vostre chiese, e che saranno accolti dalle vostre comunità parrocchiali. (…) Questi Oli sono il segno della presenza del Risorto nella nostra Chiesa, di colui che agisce in voi come agiva una volta. Quando avrete tra le vostre mani questi Oli, ricordate che «l’Olio è sostanza terapeutica, aromatica e conviviale: medica le ferite, profuma le membra, allieta la mensa»”.
La celebrazione della Messa Crismale, come di consueto, è stata aperta dal messaggio del vescovo ausiliare Marco Salvi. “Siamo grati al Signore per aver vissuto insieme questo anno importante per la nostra Arcidiocesi – ha detto mons. Salvi -, in cui sono ripartite con grande entusiasmo tutte le attività pastorali che la pandemia ci aveva costretto a sospendere. Un anno di grande grazia in cui abbiamo avuto sei ordinazioni sacerdotali e abbiamo aperto il cammino sinodale che ci condurrà fino al 2025. Voglio esprimere il mio personale affetto e ringraziamento per la sua paterna presenza all’arcivescovo Gualtiero che proprio pochi giorni fa ha compiuto il suo ottantesimo compleanno avviandosi al termine del suo episcopato, iniziato al servizio della Chiesa perusino-pievese il 4 ottobre del 2009”.
Il vescovo Marco ha anche salutato e ringraziato i sacerdoti che nel 2022 celebrano un particolare anniversario di ordinazione, soprattutto il primo, il venticinquesimo e il cinquantesimo di sacerdozio. Fra questi ultimi: don Leonardo Romizi, padre Rino Bartolini, padre Vittore di Cesare e padre Ennio Tiacci. Ha poi ricordato i confratelli che sono tornati alla Casa del Padre nell’ultimo anno liturgico: l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e i presbiteri mons. Marino Riccieri e mons. Siro Nofrini, e ha affidato all’intercessione della Beata Vergine Maria delle Grazie tutti i consacrati e pregato per le vocazioni.

L’OMELIA DEL CARD. BASSETTI

Carissimi fratelli e sorelle,
l’anno passato, per la Messa Crismale di mercoledì 31 marzo, ricordo di aver detto all’inizio dell’omelia che era ormai la seconda volta che celebravamo in modo dimesso questa solenne liturgia, perché a causa della pandemia era stata prevista una ridotta partecipazione del popolo di Dio.
È una gioia, lasciatemelo dire, poterci ritrovare oggi, fedeli e sacerdoti, così numerosi nella nostra chiesa cattedrale, per quella che viene definita nel Rituale per la benedizione degli Oli, una «epifania della Chiesa» (Premesse al Pontificale Romano. Benedizione degli Oli e dedicazione della Chiesa e dell’altare, 10). E non posso non dire, carissimi – permettetemi questa nota personale – che questa è l’ultima Messa Crismale che presiedo come Vescovo della diocesi di Perugia-Città della Pieve.
Come avrete notato, partecipando alla preghiera della Chiesa, nei primi giorni di questa Settimana Santa le letture bibliche sono tutte riferite al mistero della Passione di Gesù. Per la Messa del Crisma esse, più precisamente, illustrano il compito messianico di Cristo e la sua continuazione nella Chiesa.
Vorrei ora soffermarmi brevemente sulla prima lettura, che offre a noi una luce per leggere anche l’attualità, e poi vorrei riscoprire insieme a voi il senso di questa celebrazione eucaristica così speciale, con la liturgia della benedizione degli Oli.
Nella pagina di Isaia, che si trova quasi alla fine del lungo libro profetico, per la prima volta si ascolta la voce narrante di chi parla in prima persona, e che si presenta e racconta della sua unzione.
Non viene detto chi stia parlando: è lo stesso profeta, che racconta dello Spirito che ha ricevuto? È un “servo”, che ha una speciale missione da compiere, in nome di Dio? Più che un singolo individuo, è forse l’intero popolo di Israele?
Noi cristiani sappiamo che Gesù stesso si è riconosciuto in quelle parole, e i suoi discepoli – come lo stesso evangelista Luca, che racconta di come a Nazaret il Signore abbia letto questa pagina – hanno visto nel volto di quel profeta il volto di Cristo Gesù.
Carissimi, è quasi inutile ricordare che oggi, in questo triste tempo di pandemia e di guerra, le parole di Isaia acquistano un significato ancora più forte: parlano di afflizione, lutto, mestizia. Ma la missione di colui che è stato unto dalla Spirito è proprio quella di infondere speranza; in particolare, come si è ascoltato dalle prime frasi della profezia, suo è il compito di portare un lieto annuncio ai miseri, di fasciare le piaghe, di scarcerare i prigionieri.
Sembra davvero che il profeta stia parlando non della situazione del popolo di Israele in esilio, ma delle sofferenze che in queste ore stanno vivendo coloro che sono vittime dell’invasione dell’Ucraina, e hanno perso la propria terra, la casa, i propri familiari, la stessa vita.
A questi poveri però il Signore annuncia un cambiamento. Sappiamo bene (e la festa della Pasqua significa anzitutto questo), che la morte non è l’ultima parola per Dio e il suo Messia.
Un cambiamento anche in questo conflitto però è possibile solo con l’aiuto del Signore, perché – come ci ha ricordato papa Francesco nell’Angelus della scorsa Domenica delle Palme – «nulla è impossibile a Dio». «Nulla è impossibile a Dio – ha detto il Papa – anche far cessare una guerra di cui non si vede la fine. Una guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci crudeltà compiute contro civili inermi» (Angelus, 10 aprile 2022).
Se la pace è opera di Dio, e il cambiamento dalla morte alla vita può venire soltanto da lui, un ruolo speciale, nell’opera annunciata dal profeta Isaia al popolo affranto, è svolto dai sacerdoti: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti» (Is 61,6), dice il Signore.
Dal santo Crisma tutti i fedeli in Cristo, cioè i “cristiani”, prendono il loro nome, ma sappiamo bene che i sacerdoti hanno ricevuto un’unzione che esprime una speciale missione. Ecco perché – come si legge ancora nell’Introduzione alla liturgia della benedizione degli Oli – «la Messa crismale rende evidente il clima di una vera festa del sacerdozio ministeriale all’interno di tutto il popolo sacerdotale» (Benedizione degli Oli e dedicazione della Chiesa e dell’altare, 10).
Il Prefazio che tra poco ascolterete spiega, infatti, che il Cristo «nel suo amore per i fratelli sceglie alcuni che, mediante l’imposizione delle mani, rende partecipi del suo ministero di salvezza, perché rinnovino nel suo nome il sacrificio redentore [… e], servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la Parola e lo santifichino con i sacramenti».
Carissimi fratelli nel sacerdozio, oggi è il giorno in cui ricordiamo la nostra unzione e rinnoviamo le nostre promesse sacerdotali. È la giusta occasione per ringraziarvi, e voglio farlo a nome del Signore e di tutto il popolo cristiano.
Voglio ringraziarvi per quello che siete, e per il ministero che svolgete.
Voglio ringraziarvi per la cura che avete avuto verso i vostri parrocchiani, in particolare i malati, gli anziani, i bambini.
Voglio ringraziarvi quando assistete, guidate e consigliate i tanti gruppi, le associazioni, i movimenti che vi sono affidati.
Voglio ringraziare quelli di voi che si occupano dei più poveri, attraverso le Caritas e gli empori; quelli che hanno cura degli infermi e dei medici e del personale sanitario negli ospedali, nelle RSA, negli hospice; quelli che consolano i carcerati e si occupano del personale impiegato nelle carceri.
Voglio ringraziare voi che custodite il patrimonio religioso e artistico delle nostre chiese e delle nostre istituzioni culturali, e quelli che insegnano e studiano.
Voglio ringraziare voi, carissimi sacerdoti – e insieme a voi, i diaconi – perché con la vostra preghiera e i sacramenti che celebrate tenete viva la speranza nel popolo di Dio che vi è affidato.
E preghiamo, fratelli e sorelle, perché il Signore Gesù chiami ancora giovani a consacrarsi nella nostra Chiesa.
Carissimi sacerdoti, tra poco riceverete gli Oli che verranno custoditi nelle vostre chiese, e che saranno accolti dalle vostre comunità parrocchiali.
È con l’Olio dei catecumeni che, a nome di Cristo e della Chiesa, ungerete coloro che devono ricevere il battesimo per essere rafforzati negli impegni della vita cristiana. Con l’Olio degli infermi consolerete coloro che sono toccati dalla malattia. Con il Crisma consacrerete i neobattezzati, e lo stesso Olio sarà il segno della consacrazione dello Spirito; sempre con il Crisma saranno unti i sacerdoti, in vescovi, e gli altari e le pareti di una nuova chiesa.
Questi Oli, carissimi sacerdoti, sono il segno della presenza del Risorto nella nostra Chiesa, di colui che agisce in voi come agiva una volta. Quando avrete tra le vostre mani questi Oli, ricordate che «l’Olio è sostanza terapeutica, aromatica e conviviale: medica le ferite, profuma le membra, allieta la mensa» (Benedizione degli Oli e dedicazione della Chiesa e dell’altare, 9).
In questa Pasqua, carissimi fratelli e sorelle, gli Oli sono per tutti noi soprattutto il segno sacramentale della consolazione che Gesù Cristo ci vuole donare, Lui che è stato unto per «portare il lieto annuncio ai miseri», «fasciare le piaghe dei cuori spezzati», «consolare tutti gli afflitti» (cf. Is 61,1-3).

IL SALUTO DI MONS. SALVI

Carissimo Arcivescovo Gualtiero, cari presbiteri e diaconi, cari fratelli e sorelle, è una grande gioia essere qui riuniti insieme, nella nostra Chiesa Cattedrale per la Messa del Crisma.
Siamo grati al Signore per aver vissuto insieme questo anno importante per la nostra Arcidiocesi, in cui sono ripartite con grande entusiasmo tutte le attività pastorali che la pandemia ci aveva costretto a sospendere. Un anno di grande grazia in cui abbiamo avuto sei ordinazioni sacerdotali ed abbiamo aperto il cammino sinodale che ci condurrà fino al 2025. Voglio esprimere il mio personale affetto e ringraziamento per la sua paterna presenza all’arcivescovo Gualtiero che proprio pochi giorni fa ha compiuto il suo ottantesimo compleanno avviandosi al termine del suo episcopato, iniziato al servizio della chiesa perusino-pievese il 4 ottobre del 2009.
Un anno in cui abbiamo riorganizzato e ristrutturato gli uffici di curia con i loro compiti. Un anno segnato anche da momenti di difficoltà e di sofferenza.
Ci aspetta quindi un nuovo inizio, una nuova partenza, come ci ha ricordato Papa Francesco ‘Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio’: senza inventarci nulla, dobbiamo imparare a vivere insieme un modo nuovo di fare Chiesa, attenti a condividere e pronti ad ascoltare. Anche le nostre parrocchie devono aprirsi a questo nuovo metodo di comunione intraprendendo un profondo rinnovamento pastorale, che faccia dell’annuncio e dell’esempio di vita un vero e proprio metodo di azione. Alla base del nostro rinnovamento è indispensabile porsi in ascolto e l’ascolto richiede tempo. Lasciamoci sorprendere e al tempo stesso sconvolgere dall’ascolto. L’ascolto ci fa comprendere che non siamo soli e ci aiuta ad uscire dalla solitudine in cui spesso ci troviamo. Come ho più volte ricordato, avviamo cantieri sinodali, perché questo stile diventi permanente e diffuso, fatto di lavoro insieme, di condivisione, di dialogo, di confronto e di discernimento.
Nel rinnovare oggi le promesse sacerdotali, confermando la nostra totale adesione al Signore, ricordiamo alcuni sacerdoti che celebrano quest’anno particolari anniversari nel loro ministero: don Savariyar Thiruthuvadoss per il 25° anniversario di ordinazione; don Leonardo Romizi, padre Rino Bartolini, padre Vittore di Cesare, padre Ennio Tiacci per il 50° anniversario di ordinazione; don Samy Cristiano Abu Eideh, don Vittorio Bigini, don Daniele Malatacca, don Simone Strappaghetti, don Michael Tiritiello, don Emmanuel-John Olajide per il 1° anniversario di ordinazione.
Ricordiamo nelle nostre preghiere e in questa celebrazione i confratelli che sono tornati alla Casa del Padre nell’ultimo anno liturgico: l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e i presbiteri mons. Marino Riccieri e mons. Siro Nofrini.
Affidiamo all’intercessione della Beata Vergine Maria delle Grazie tutti i consacrati e preghiamo per le vocazioni.

«Vi invito con tutto il cuore a vivere con intensità questa Settimana Santa che ci prepara alla Pasqua. Immergiamoci pienamente in tutte le vicende che hanno segnato la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. E accanto a quelle di Gesù ci sono le sofferenze di tanti fratelli e sorelle ucraini calpestati nella loro dignità umana, particolarmente i bambini, le donne, gli anziani, i giovani». Con queste parole il cardinale Gualtiero Bassetti ha introdotto l’omelia della Domenica delle Palme, pronunciata nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia dopo aver fatto memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme benedicendo i ramoscelli d’ulivo e guidando la processione dall’arcivescovado alla cattedrale, animata dai membri degli ordini cavallereschi di Malta e del Santo Sepolcro a cui hanno preso parte numerosi fedeli.

Verrà un giorno… Pensando a quanto di disumano sta accadendo in Ucraina, il cardinale ha detto con voce ferma: «Ricordiamoci che Dio è un Padre geloso, che chiederà conto a tutti delle sue creature. “Verrà un giorno…”, disse padre Cristoforo nel Promessi Sposi, ed io temo il giudizio di Dio quando il nostro comportamento delega da ogni insegnamento evangelico e dai comandamenti del Signore. Anche per tutti questi motivi viviamo a fondo gli eventi che segnano gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù».

Il trono della croce. «Oggi il Signore entra in Gerusalemme come un re, ma è diverso dai potenti di questo mondo: regna da un trono, che è la croce. Non vince con gli eserciti e le alleanze. Le sue parole sono chiare: “Chi è il più grande fra voi diventi come il più piccolo e chi governa, come chi serve”. Non erano parole di comodo, bastarono poche ore e Gesù portò sulla sua carne, alle estreme conseguenze, queste affermazioni».

Le parole di una catechista. Bassetti ha proseguito l’omelia raccontando la sua esperienza in una parrocchia: «Mi sono commosso, tempo fa, ascoltando una brava catechista, una mamma, che spiegava con parole semplici ai suoi ragazzi la Passione di Gesù, più o meno con queste espressioni che mi sono rimaste impresse: “Cari ragazzi, c’era un uomo buono che parlava del Vangelo. In tanti accorrevano ad ascoltarlo. Ad un certo punto i potenti decisero che aveva parlato troppo e che troppe persone stavano a sentirlo; presero quindi la decisione di farlo tacere… Quell’uomo, dopo essere stato rivestito per burla, con gli abiti da re, fu torturato, schiaffeggiato, coronato di spine. Poi fu condotto fuori della città, verso una collinetta chiamata Golgota e fu inchiodato sulla croce con due ladri. Su quella Croce quell’uomo buono morì. Si chiamava Gesù e veniva da Nazareth. Quella morte fu ingiusta”, concluse la catechista».

La morte è sempre ingiusta. «La morte, ogni vita tolta – ha commentato il cardinale –, è sempre ingiusta, anche dopo i crimini più brutti».

I bambini comprendono. Il presule si è poi posto questa domanda: «Chi è in grado di comprendere Gesù? Io mi sono posto tante volte questa domanda e pensando ai bambini che accolgono Gesù mentre entra a Gerusalemme, forse sono proprio loro che lo comprendono più di noi adulti, perché ne colgono la profondità del suo messaggio: “Se non diventerete come bambini, non potete entrare nel Regno dei Cieli”. È quello che succede a Pietro nell’orto degli ulivi, quando si mette a piangere come un bambino. È allora che comincia a capire davvero sé stesso e noi siamo come lui».

Prendere in mano il Vangelo. «Dobbiamo tutti, all’inizio di questa Settimana Santa, rientrare in noi stessi. Cerchiamo di diventare uomini e donne, veri, sinceri e onesti come Pietro. Decidiamo con forza di cambiare vita. Prendiamo in mano il Vangelo e facciamo, soprattutto in questi giorni, compagnia a Gesù».

Terribilmente fragili. «Il ramoscello d’ulivo che abbiamo in mano sia davvero un segno di pace – ha auspicato Bassetti –, che ci ricorda continuamente che il Signore vuole la pace. L’ulivo ci accompagnerà nelle nostre case per ricordarci quanto Gesù ci vuole bene, perché abbiamo bisogno di dircelo concretamente e continuamente altrimenti anche noi rischiamo di cadere, perché siamo terribilmente fragili. Ricordiamo l’insegnamento della catechista ai bambini e ricordiamo soprattutto che Gesù è la nostra vera pace».

«Prosegue il percorso, avviato da tempo, di recupero e valorizzazione del complesso monumentale del duomo con eventi e collaborazioni volte a studiare la sua storia e a valorizzarlo nella sua interezza». Ad annunciarlo è il parroco ed arciprete della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio di Città della Pieve (Perugia), don Simone Sorbaioli, nel presentare l’evento della “Passio Christi”, la «mostra-percorso nella liturgia e nell’iconografia pasquale che intende mettere in parallelo arte moderna e contemporanea – spiega lo stesso arciprete –. La Via Crucis di Giacinto Boccanera (pittore originario di Leonessa ed uno dei più importanti protagonisti del tardo barocco in Umbria) riposizionata lungo le pareti del duomo, viene messa a confronto con quella del pittore Manilo Bacosi, uno dei massimi pittori umbri del Novecento, esposta nelle cripte della concattedrale».

L’inaugurazione della “Passio Christi” è in programma sabato 9 aprile, alle ore 18, alla presenza del sindaco di Città delle Pieve, Fausto Risini, e dello stesso arciprete don Simone Sorbaioli. La mostra sarà visitabile fino al prossimo 9 maggio ed in duomo sarà anche esposta un’opera dello scultore Kossuth, in diretto dialogo con il Santissimo Crocefisso ligneo del secolo XVII all’interno dell’omonima cappella.

«Grazie alla collaborazione con la Confraternita della Misericordia, di Gesù e di San Giovanni decollato (che ne ha curato il restauro) – precisa don Sorbaioli – sarà esposto nelle cripte il gonfalone processionale dipinto fronte retro del pittore pievese Padroni della fine del sec. XVII».

«Tutto il percorso di visita, che si snoda tra la concattedrale e le sue cripte – conclude l’arciprete –, è dunque un’immersione nella passione di Gesù e grazie a questo tema viene ancor di più valorizzato il patrimonio artistico pievese».

La mostra, curata nel suo allestimento da Luca Marchegiani e Matteo Pifferi, è organizzata dal Museo del Duomo e dall’Amministrazione comunale, grazie al Capitolo della Concattedrale, Spazio Kossuth, Confraternita della Misericordia, di Gesù e di San Giovanni decollato, Famiglia Saracini e all’arciprete emerito don Aldo Gattobigio.

«La vostra presenza così numerosa dà un segno di gioia e di speranza in un mondo che sembra rotolare verso la disperazione». Così il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi ha esordito nell’omelia della celebrazione eucaristica a conclusione della Giornata diocesana di formazione degli animatori di Gr.Est (Gruppi Estivi) e Oratori, domenica 3 aprile, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Oltre alla folta presenza di giovani (erano 500 di 40 realtà oratoriali), c’erano ad accompagnarli diversi sacerdoti, alcuni di loro hanno concelebrato con il vescovo ausiliare: don Luca Delunghi, direttore della Pastorale Giovanile, don Riccardo Pascolini, responsabile del Coordinamento Oratori Perugini, don Daniele Malatacca, membro di entrambe le realtà pastorali diocesane,  don Vittorio Bigini, don Gaetano Romano, don Michael Tiritiello e don Giovanni Yang Le. Al termine dell’omelia mons. Salvi ha letto la preghiera di affidamento del “mandato” a ciascun animatore, impartendo a tutti la benedizione per l’opera che svolgeranno durante i Gr.Est e le attività oratoriali.

Esserci per la pienezza della vita. Mons. Salvi, nell’omelia, ha posto una domanda a ciascun giovane: «Perché sei qui? Le ragioni potrebbero essere molteplici – ha commentato nel dare lui stesso una risposta –, ma se sei qui, in questo momento, è perché senti nel tuo cuore una domanda che vuole essere appagata. Si sente il desiderio nel nostro cuore che la vita sia piena, sia grande, perché nel nostro io c’è qualcosa di irriducibile che ci chiede che la vita sia felice e che tu possa vivere con gusto. Stare qui significa che c’è un desiderio profondo del gusto della vita, che ci accompagna anche inconsapevolmente dove non sia determinante il tuo caratteraccio e la tua fragilità. Quante volte si rovinano le cose belle nell’affidarci al nostro carattere, quante amicizie perdiamo quando facciamo e confidiamo sulla nostra fragilità. Il Vangelo di oggi (l’adultera che doveva essere lapidata, n.d.r.) è stupendo, perché è rivolto a ciascuno di noi e ci aiuta a dare una risposta alla nostra domanda, quella di esserci per trovare la pienezza del vivere».

L’amore di Dio ribalta la vita. In questo passo del Vangelo, ha commentato mons. Salvi, «Gesù ha da dire qualcosa alla tua vita nel non condannare, nel non giudicare, nel non rimproverare. Gesù ama e il suo è un amore grande che gioca d’anticipo anche nei confronti della conversione dell’adultera. Il suo è un perdono grande, una tenerezza che precede qualunque sforzo di quella donna. Ragazzi, è così anche per noi!. Dio ci ama prima ancora che noi siamo capaci di rispondere o di convertirci», perché «sei qui con tanti dubbi, con tante domande. Sei qui che ancora non capisci bene quello che sarà la tua vita, ma c’è Gesù che ti ama, che offre alla tua vita una tenerezza infinita. Anche per te c’è un abbraccio misericordioso, che ti ama indipendente dal tuo proposito di vivere bene. Come all’adultera, Gesù ti offre la possibilità di un rapporto gratuito, senza condizioni. È questa la grande sorpresa per essere qui e, nello stesso tempo, è un grande scandalo, perché Gesù perdona indipendentemente da come sei. Solo chi scopre di essere amato di un amore totalmente gratuito è capace di cambiare la vita. L’amore di Dio non si conquista, lo si accoglie e una volta accolto ha il potere di ribaltare la vita. Non importa quale sia il tuo peccato, non importa quanto sei caduto in basso, la mano di Dio è sempre tesa per afferrarti e rialzarti. Tutti voi, ragazzi, siete chiamati ad essere la mano di questa tenerezza, perché prima di tutto è giunta a ciascuno di voi».

La fotogallery è stata realizzata con la collaborazione di Tommaso Benedetti.

«Il mondo ha bisogno di bellezza e di tenerezza che anche l’arte esprime nel suo messaggio e gli incontri in vista degli anniversari del Perugino e del Signorelli diventino una vera catechesi, perché si può evangelizzare anche attraverso l’arte». Ad auspicarlo è stato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti nell’intervenire al terzo appuntamento del ciclo di conferenze “Le opere d’arte raccontano”, promosso dall’Isola di San Lorenzo-Museo del Capitolo della Cattedrale di Perugia in preparazione al V centenario della morte del Perugino e del Signorelli (1523-2023), tenutosi nel pomeriggio del primo aprile in una gremita Sala del Dottorato del Museo Capitolare.

La numerosa partecipazione di pubblico è stata notata anche dal cardinale, che ha espresso viva soddisfazione per l’interesse che l’incontro ha suscitato in molti perugini desiderosi, dopo due anni difficili, di tornare anche alla vita culturale che offre la città. Il tema trattato è stato “Il mondo ha bisogno di bellezza’. Contemplare il Mistero attraverso l’arte”. Per l’elevato numero di prenotazioni e nel rispetto delle norme sanitarie anti Covid-19, gli organizzatori hanno allestito una seconda sala, oltre a trasmettere l’incontro in diretta sul canale YouTube del settimanale La Voce.

Una magistrale lettura. Il tema è stato affidato a Nadia Righi, direttrice del Museo diocesano “Carlo Maria Martini” di Milano, che ha tenuto una magistrale lettura di tre opere d’arte: l’Adorazione dei Pastori di Pietro Perugino, l’Annunciazione di Tiziano e l’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi, che sono state oggetto di tre mostre organizzate dal Museo diocesano di Milano in occasione dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”. «Sono opere che trasmettono bellezza, certezza e speranza nella propria vita e in un momento come questo, con la guerra, il desiderio è quello che torni la pace nel cuore degli uomini e nel mondo», ha detto la direttrice, che ha evidenziato anche «i compiti del museo diocesano» come quello «di educare allo sguardo e alla bellezza, riuscire a parlare con tutti e sollecitare grandi domande e non necessariamente dare risposte».

Strumento di pastorale. Altro compito fondamentale di un museo diocesano, ha aggiunto Nadia Righi, «è di essere uno strumento della pastorale, cioè avere cura del pubblico, cercare di intercettare i bisogni e i desideri attraverso l’attività che viene svolta. Abbiamo voluto una Annunciazione come opera per ricominciare con il “Capolavoro per Milano” di quest’inverno, perché abbiamo voluto dire ai visitatori che è necessario ripartire da una speranza, ma soprattutto chiedersi su che cosa poggia la speranza di ciascuno di noi. La risposta, per noi cristiani, è nella presenza di Cristo ancora tra noi che si incarna nel momento dell’annunciazione».

Alzare lo sguardo. Ad aprire l’incontro, sapientemente coordinato da Luca Nulli, membro della Commissione diocesana per gli eventi del V centenario del Perugino e del Signorelli, sono stati Ilaria Borletti Buitoni, presidente del Comitato nazionale per V centenario della morte di Pietro Vannucci, e mons. Marco Salvi, vescovo ausiliare e delegato dal cardinale Bassetti per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico diocesano. La presidente Borletti Buitoni ha molto apprezzato e incoraggiato iniziative come questa in vista delle celebrazioni del 2023, perché, ha detto, «non si tratta solo di valorizzare due straordinari artisti, si tratta di alzare lo sguardo verso la bellezza e la dimensione spirituale che oggi è estremamente, aimè, lontana dal cuore e dalla mente di ciascuno di noi anche per le tragedie che stiamo vivendo. È una iniziativa, questa, fondamentale in cui come Comitato nazionale accolgo l’approfondimento scientifico sull’opera di Perugino e di Signorelli, ma come persona accolgo il suggerimento spirituale, umano che da questa iniziativa può derivare».

Porsi in ascolto. Alle parole di Ilaria Borletti Buitoni hanno fatto eco quelle di mons. Salvi nel sostenere che «abbiamo bisogno esistenzialmente della bellezza, perché oltre che a rendere più umana la vita nella sua profondità riesce ad indicarci delle ipotesi di percorso per la vita. Ogni espressione artistica porta in sé la testimonianza di un uomo, di un’artista che esprime attraverso il colore, il disegno, la costruzione del soggetto, dello spazio, di ciò che lui ha dentro il cuore, la sua concezione della vita, le sue domande, le sue passioni, lo sguardo con cui percepisce la realtà o il momento storico che sta vivendo. È per questo che abbiamo intrapreso un percorso di cui questo ciclo di conferenze è elemento essenziale per prepararci al V centenario della morte di Pietro Perugino con la consapevolezza che il nostro patrimonio artistico e storico ha ancora tanto da dirci e da comunicarci, se noi ci poniamo in ascolto».

Un secolo di Museo. Luca Nulli, nel concludere l’incontro, ha annunciato che il 2023 è anche l’anno del primo secolo di vita del Museo del Capitolo di San Lorenzo, evento per il quale l’Archidiocesi è al lavoro per progettare il suo riallestimento. Preziose, «sono state le indicazioni suggerite dalla dottoressa Righi per la nostra progettazione in vista dell’appuntamento del prossimo anno. Venire a conoscenza delle numerose collaborazioni intraprese dal Museo diocesano di Milano, una realtà culturale dinamica in dialogo con la città e con altre istituzioni museali del Paese, fa ben sperare anche al nostro Museo nel poter dare vita ad una maggiore collaborazione tra istituzioni e realtà culturali umbre e non solo».

«Grazie fratelli e sorelle, sacerdoti e autorità di essere qui presenti. Stasera non è stato il vescovo a convocarvi, a chiamarvi nella nostra cattedrale, ma è stata personalmente la Vergine Maria che ha voluto che tutta la nostra Chiesa fosse qui riunita, perché noi siamo obbedienti anche a tutta la sua tradizione. Sempre, quando ci sono stati dei pericoli imminenti, di tenebre intense, di grida di guerra per il mondo e per la società cristiana, come stiamo vivendo in questo momento, sempre si è invocato il nome del Padre e di Maria. Grazie ancora e che il Signore, attraverso la Beata Vergine a cui ci affidiamo e ci consacriamo stasera, ascolti e accolga le nostre preghiere». Così il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel saluto introduttivo della celebrazione eucaristica della Consacrazione all’Immacolato Cuore di Maria della Russia e dell’Ucraina, in comunione spirituale con papa Francesco, nella preghiera per la pace, venerdì 25 marzo, nella cattedrale di San Lorenzo. Alla celebrazione hanno partecipato diversi sacerdoti, i rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, di Ordini cavallereschi e di confraternite e numerosi fedeli, conclusa dinanzi alla splendida e molto venerata immagine della Madonna delle Grazie con l’Atto di Consacrazione e l’omaggio floreale del cardinale Bassetti all’icona della Beata Vergine.

«Il contrasto tra quello che sta accadendo oramai da un mese in Ucraina, e quello che racconta la pagina del Vangelo di oggi, non poteva essere più grande – ha evidenziato il cardinale nell’omelia –. Mentre le notizie di bombardamenti, devastazioni, occupazioni di città, vittime innocenti, bambini uccisi dalle bombe, o le notizie sulle centinaia di migliaia di profughi che arrivano anche nel nostro Paese sono sulle prime pagine dei giornali ed entrano prepotentemente nelle nostre case, noi celebriamo qualcosa di inaudito, quello che accadde nel segreto di una piccola casa, a Nazareth di Galilea duemila anni fa. Quando il male e l’odio infuriano e sembrano avere l’ultima parola, nel brano dell’Annunciazione, l’evangelista Luca racconta di un amore grande: l’amore che lega Maria al suo promesso sposo, Giuseppe, e ancor di più l’amore di Dio per i suoi figli, per l’umanità intera. Mentre in Ucraina imperversano la violenza, la forza e la prevaricazione, il Dio di cui parla l’arcangelo Gabriele è un Dio che chiede permesso, e che domanda a una giovane donna di dire liberamente il suo “sì”. Soprattutto, mentre oggi gli uomini fanno la guerra, la risposta di Maria porterà – come diranno gli angeli ai pastori – la “pace a tutti gli uomini amati dal Signore” (cf. Lc 2,14)».

Il cardinale Bassetti, soffermandosi sul significato della festa dell’Annunciazione a Maria (25 marzo) si è chiesto «che senso potrà mai avere in un contesto così doloroso e drammatico? Questa festa, in un anno così particolare, dopo un lungo tempo di pandemia, e ora di guerra, ci conforta nelle prove, e mentre noi siamo presi dalla paura, dallo sconforto, dal timore di un conflitto globale, sentiamo che le parole dell’angelo sono rivolte anche a noi: quel “Non temere”, detto in modo speciale a Maria, oggi è un invito di speranza che vale per tutti».

«Per il secondo anno consecutivo ci ritroviamo in questa chiesa cattedrale per far memoria di san Giuseppe, lo sposo della Vergine Maria e padre putativo di Gesù. Mi auguro che questa celebrazione possa diventare per la Chiesa perusino-pievese una vera e propria tradizione. Ringrazio la Confraternita del Santissimo Sacramento, di San Giuseppe e del Sant’Anello, unitamente all’Ufficio di Pastorale Familiare per aver promosso l’odierna giornata di riflessione e di preghiera». Con questo auspicio il cardinale Gualtiero Bassetti ha introdotto la sua omelia pronunciata nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, il pomeriggio del 19 marzo, solennità di san Giuseppe e festa del papà. Solennità, che nella cattedrale perugina, si è aperta con la suggestiva “calata” del Sant’Anello animata dall’omonima confraternita; la reliquia ritenuta dalla pietà popolare l’anello con cui la Beata Vergine Maria fu sposata a san Giuseppe, portata a Perugia sul finire del XV secolo dopo essere stata trafugata nella città di Chiusi. Dopo l’esposizione del Sant’Anello, è seguita la catechesi rivolta alle coppie di fidanzati e di sposi dal titolo: “Figlio perché ci hai fatto questo? L’arte della genitorialità oggi”, tenuta da don Francesco Buono, sacerdote diocesano e teologo. La solennità di san Giuseppe è stata vissuta anche come occasione di preparazione alla X Giornata mondiale delle famiglie (Roma, 22-26 giugno), in un tempo di speranza e rinascita per riflettere sull’“amore familiare: vocazione e via di santità”.

Segno della giornata. L’Ufficio diocesano per la pastorale familiare, a fine celebrazione, ha voluto lasciare un segno della giornata a ciascun padre: una bottiglietta con l’acqua benedetta e un’immagine con preghiera a San Giuseppe. «Un segno – hanno spiegato i coniugi Roberta e Luca Convito, responsabili della Pastorale familiare – che vuole riportare nelle case l’abitudine alla benedizione in famiglia, soprattutto del padre verso i figli, magari al mattino prima di cominciare le “corse” quotidiane o al momento di andare a letto per terminare la giornata riconciliati e sereni. Si ricorda il duplice significato di questo gesto, la benedizione del padre verso i figli e l’affidamento al Padre celeste». Gesto che il cardinale Bassetti ha compiuto al termine della celebrazione nel benedire le famiglie e nel raccogliersi in preghiera dinanzi al Sant’Anello.

Famiglia, nido d’amore. «La famiglia è per tutti il nido d’amore dove la vita attecchisce – ha sottolineato il presule nell’omelia –; va perciò costruita su quel modello d’amore che è la santa famiglia di Nazareth, e va vissuta come piccola chiesa, plasmata sullo stesso modello trinitario da cui la Chiesa deriva. L’educazione dei figli è poi la grande fatica che i genitori devono affrontare. Anche Maria e Giuseppe ebbero a che fare con il richiamo educativo riguardo a Gesù… Eppure Gesù era il figlio di Dio, ma nell’ordine umano, la mamma, era mamma anche per Lui».

Il sacramento del matrimonio. Bassetti ha avuto parole di incoraggiamento anche per i fidanzati: «Voi fate un serio catecumenato, e cioè un vero cammino di fede prima di accedere al sacramento del matrimonio, che vi dà la grazia per essere ministri e comunicatori con Dio della vita.  La comunità ecclesiale deve avere molta cura nei vostri confronti, educandovi alla conoscenza del “mistero grande” insito nel matrimonio (Ef 5,32), anche con il ricorso agli strumenti che garantiscono l’esperienza religiosa: la preghiera, i sacramenti, la vita di grazia, il rispetto reciproco, oltre alla castità che deve precedere il matrimonio cristiano».

Il pensiero alla martoriata Ucraina. Il cardinale, nel commentare le parole di Dio rivolte a Mosè nel libro dell’Esodo, ha esclamato: «Quanto conforto – soprattutto in questi giorni di guerra – ci dà sapere che non siamo abbandonati a noi stessi, che le nostre preghiere sono ascoltate, che Dio vede e interviene. Dio guida la storia, ma solo lui conosce i tempi in cui agire. Anzi, come si legge nel brano del Vangelo, Dio sa attendere, e aspetta che l’albero infruttuoso porti frutti in avvenire. Quanto sono forti e impegnative, però, le parole che Gesù rivolge a coloro che avevano assistito alla tragedia di alcuni rivoltosi uccisi da Ponzio Pilato: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Questo appello, che vale per tutti noi, e in particolare in questo tempo di Quaresima, fa sentire tutta la sua forza proprio nel contesto dell’invasione dell’Ucraina».

L’aiuto di Giuseppe per la pace. «In quale senso potremmo mettere in atto la conversione che ci può salvare?». Si è chiesto il cardinale Bassetti dando, nel contempo, la risposta: «Ci viene in aiuto Giuseppe. Lui è anzitutto l’uomo “giusto”, come lo definisce l’evangelista Matteo (cf. Mt 1,19). La giustizia è il presupposto per la pace, e senza di essa non ci può essere pace vera. In questa guerra così atroce chiediamo a Dio di suscitare persone che, illuminate dal suo Spirito, sappiano costruire la pace. Chiediamo a san Giuseppe di proteggere la Chiesa tutta e in particolare le famiglie dell’Ucraina. Chiediamo alla Vergine Maria, Regina della Pace, di aiutarci a costruire la pace e ad ascoltare la voce del suo Figlio Gesù».